Covid19 e età: considerazioni su come uscire dalla attuale situazione

In questi giorni si rincorrono su media e social previsioni ottenute con modelli statistici di ogni tipo, discussioni in tv e sui social su cosa sia giusto fare, quando ne usciremo e tutto il resto (io mi limito a postare sulla mia pagina Facebook dei grafici logaritmici giornalieri che monitorano l’andamento dei dati – ufficiali – sull’epidemia).

Qualche giorno fa ho provato a fare una analisi che ancora non avevo visto in giro e l’ho postata su Facebook. Nei giorni successivi – non certo grazie al mio post, suppongo – si è iniziato a discuterne un po’ sui media, mi fa piacere. I post originali sono questo e questo; riporto ora qui l’analisi che ho fatto, tenendo sempre presente che non sono né un epidemiologo né uno statistico, solo un ricercatore in astronomia che cerca di capire la situazione.

L’aspettativa di vita media di un maschio in Italia oggi è di 82 anni e mezzo. L’età media dei decessi per Covid19 (che per circa tre casi su quattro riguardano i maschi) è circa 80 anni. Nel primo grafico qui sotto ho riprodotto la distribuzione dei decessi covid per età (istogramma blu, dati ISS), con sovrapposta la curva delle età di morte dei maschi italiani nel 2011 (linea rossa, dati ISTAT; ho riportato i decessi maschili perché per i 3/4 delle morti per/con covid riguardano uomini). Chiaramente, i due andamenti sono molto simili; si tenga conto che i dati sul Covid sono aggregati per decade di età, quindi la barra che riguarda i 70-80 è alta ma in realtà i dati sono spostati più verso gli 80 che verso i 70. C’è, comunque, un leggero spostamento del picco verso le età immediatamente più giovani, rispetto all’andamento normale dei decessi.
Cosa dimostra questo? A mio parere, che il covid va essenzialmente a aggravare le condizioni di persone in condizioni già quasi compromesse. Attenzione, non sto facendo il solito, già sentito discorso “si muore con coronavirus, non di coronavirus”: io dico che forse si muore di coronavirus, ma quando l’organismo è già prossimo alla morte. “Prossimo” può voler dire con ancora un’aspettativa di qualche mese, o un anno, o due; non è poco, non è una cosa da prendere alla leggera; ma di fatto, statisticamente il covid accelera il decesso di chi vi era già prossimo. Questo almeno dicono i dati.
Quindi, passata questa ondata di tragica mortalità elevata soprattutto in Lombardia, io mi aspetto ci siano meno decessi della media. Se sarà così, significherà appunto che il covid avrà accelerato il trapasso di chi sarebbe comunque trapassato nei mesi successivi. In sostanza, credo che questa malattia stia accumulando in questi giorni le morti che normalmente sarebbero state spalmate sui prossimi mesi.

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A questo punto ho fatto un calcolo della fatalità relativa alla fascia di età, ovvero quale sia la probabilità di morire se si contrae il virus a diverse età. La distribuzione assoluta dei decessi per fascia di età, infatti, non tiene conto di un altro dato statistico importante, e cioè del fatto che le fasce di età in non sono popolate in modo uniforme. Per far capire perché questo abbia importanza, faccio un esempio. Supponiamo che la popolazione di un Paese sia costituita solo da 10mila 50enni e 1000 80enni, e che tutti contraggano un virus. Se i dati sui decessi dovuti al virus dicono che sono morti 100 50enni e 100 80enni, io posso pensare che il virus uccida in modo uguale persone delle due età; la realtà, ovviamente, è ben diversa, perché sono morti a causa del virus 100 50enni su 10mila e 100 80enni su mille, ovvero, rispettivamente, l’1% e il 10% delle persone nelle due fasce. In sostanza, il dato dei morti per fascia di età per covid deve essere pesato per la distribuzione di età della popolazione italiana. Riporto qui sotto l’istogramma di questa distribuzione, che ho preso dai dati ISTAT del censimento 2011 linkato sopra. È significativo che i morti per covid crescano molto proprio per le fasce di età che invece calano numericamente nella popolazione, ovvero gli over 50.

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In figura qui sotto riporto quindi infine il risultato dell’analisi. Ho fatto una assunzione importante, cioè che il contagio avvenga alla pari in tutta la popolazione, cosa ragionevole ma su cui non ho dati certi a parte alcune dichiarazioni di virologi; e ho considerato tre possibili tassi di fatalità totali – 1% (compatibile con il valore che si ottiene considerando un fattore 10 di contagi asintomatici sommersi, e con i dati delle nazioni dove sono stati effettuati più tamponi sulla popolazione), 3% (compatibile con un fattore 5 e alcuni studi internazionali) e 5% (vicino ai valori ufficiali osservati in Italia al di fuori della Lombardia). Discuto queste assunzioni e descrivo in dettaglio il metodo che ho usato per ottenere il grafico in fondo al post, per non appesantire qui le conclusioni.

Il risultato, evidente nell’istogramma, è che la probabilità di morire se si contrae il virus aumenta monotonicamente con l’età. Con una fatalità media dell’1%, la probabilità di decesso per un contagiato resta inferiore allo 0.2% fino ai 60 anni, poi cresce velocemente, salendo al 5% per la fascia tra i 70 e gli 80, e arrivando a oltre il 20% per la fascia sopra i 90 anni. Se la fatalità media è del 3%, la probabilità resta sotto l’1% fino ai 60 anni (0.6% per la fascia 50-60 anni). Da notare che per una fatalità media del 5% un contagiato ultranovantenne avrebbe una probabilità maggiore del 100% di morire: questo (oltre a essere ovviamente concettualmente impossibile) contrasta con i dati osservati, quindi o qualcuna delle ipotesi non regge, o una fatalità media così elevata non è realistica.

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Perché questi numeri sono importanti? Perché possono dare qualche indicazione su cosa sia giusto fare ora e in futuro. Se lo prendiamo seriamente, questo dato ci dice che sotto i 50 anni gli individui sani non muoiono per, o con, covid. In Italia i morti sotto i 50 anni sono il 2% del totale dei decessi (che è circa il 5% del totale dei contagiati conclamati, quindi lo 0.1% di questi ultimi), e sono nella quasi totalità casi di individui già seriamente malati. Ed è anche basso il numero di infetti con sintomi gravi; certo, i singoli casi fanno notizia, il 40enne sportivo intubato ci colpisce, ma appunto sono pochi casi su decine di migliaia di infetti.
Quindi, una larga fetta della popolazione attiva non soffre conseguenze serie dal contagio. Questa, peraltro, è proprio la condizione che rende questo virus così pericoloso: un sacco di gente lo prende e lo passa senza accorgersene, o quasi. Se il sars-cov19 facesse venire a tutti la polmonite, non si diffonderebbe molto.
Ribadisco che ora è giusto e importante stare chiusi in casa per fermare la diffusione e l’intasamento degli ospedali, e dare respiro al nostro sistema sanitario al collasso, cosa che sta lentamente avvenendo guardando gli andamenti delle curve relative a contagi, terapie intensive, decessi (anche se nutro qualche perplessità data dal fatto che in Italia chiudere in casa le famiglie significa spesso mettere a stretto contatto bambini, adulti e anziani, cosa ovviamente deleteria visto quanto detto sopra). Ma quando la situazione sarà un pochino migliorata, secondo me tenere bloccata una nazione sarà, oltre che molto difficile logisticamente sul lungo periodo, anche poco sensato.

Se dipendesse da me, io cercherei il modo per tenere al sicuro le categorie a rischio, cioè over 65 e persone con patologie gravi e croniche; anche imponendo loro di restare a casa, come ora si sta facendo con tutta la popolazione. Per quanto riguarda gli altri – i giovani, i lavoratori sani, i bambini – inviterei tutti a tenere comportamenti socialmente responsabili (distanza interpersonale, igiene eccetera) e continuerei a imporre misure di contenimento, ma decisamente meno drastiche di ora. Certo, immaginare di tenere gli anziani separati dai giovani e chiusi in casa è complesso, ma non è altrettanto complesso immaginare di tenere tutti (bambini, ragazzi, uomini, anziani) chiusi in casa per mesi? Si può pensare a servizi porta a porta di spesa e aiuto, supporto psicologico e logistico.

C’è un dato su cui non abbiamo ancora certezza, a quanto so, e cioè se si crei o meno immunità. Se sì, come spero (al momento non mi risultano contagi di persone già precedentemente malate, se non forse uno in Cina), si può allora puntare alla immunità di gregge, da venire raggiunta tramite il contagio degli under 50, una volta passata l’ondata attuale di contagi a pioggia. Perché per fermare un’epidemia ci sono solo tre modi. Il primo è che cambi qualcosa nell’ambiente che elimini o renda innocuo il virus (vaccino, cura, cambiamento di clima, mutazione verso forme meno maligne, eccetera); possiamo sperarci ma non possiamo farci conto. Il secondo è l’eradicazione dell’epidemia dal territorio, che è quello che ora si sta tentando di fare; ma davvero si vuole immaginare un Paese, o forse un mondo, in cui ci si chiude di nuovo in quarantena ogni volta che c’è un nuovo contagio, che certamente ci sarà non appena si riapriranno le frontiere, o se gli asintomatici restano infettivi a lungo? Il terzo, piaccia o meno, è creare l’immunità di gregge, e sinceramente a me pare l’unica strada sensata (ammesso che si diventi davvero immuni ovviamente… altrimenti sono cazzi e non resta che aspettare una cura o il vaccino).

Attenzione, ribadisco che tutto questo non implica che non ci siano casi sporadici di giovani che si ammalano, che comunque un 20% dei casi abbia sintomi gravi e nel 5% circa richieda terapia intensiva; insomma in nessun caso sarà una passeggiata di piacere (mi piacerebbe però vedere, e non l’ho ancora trovata al di fuori dell’aneddotica, una seria analisi statistica incrociata dei decessi per età e per patologie gravi pregresse… mi aspetto che i pochi giovani deceduti siano in grande maggioranza gravemente affetti da malattie serie). È chiaro che c’è qualche under 50 che viene colpito da covid in maniera grave; è chiaro che sarebbe bello evitare qualsiasi tipo di contagio, cancellare il virus dalla faccia della Terra, eccetera. Ma purtroppo invece la realtà è che c’è una nuova malattia con cui presumibilmente dovremo fare i conti a lungo; e come nel caso di altre malattie, un outcome grave o addirittura mortale per qualche individuo deve diventare un evento tragico ma raro – almeno fino a che non si troverà una cura. (Preciso che scrivo queste cose da persona potenzialmente a rischio, essendo ultraquarantenne e iperteso.)

Io sul vaccino non nutro troppe speranze; i coronavirus mutano, ci sono ogni anno, è difficile immaginare un vaccino efficace anche per il futuro – ma non è il mio campo quindi non discuto oltre la cosa. Piuttosto, spero si trovino a breve delle cure per i sintomi gravi, come forse si sta iniziando a leggere qua e .

Infine, una considerazione più sociologica e politica che scientifica. Personalmente credo che, con le dovute precisazioni (ad esempio, l’ecatombe di Bergamo e Brescia, dove sta chiaramente accadendo qualcosa di diverso che altrove), si stia fondamentalmente scambiando un’emergenza strutturale per un’emergenza sanitaria.

Sia chiaro: i morti ci sono, e sono tanti, soprattutto in Lombardia; speriamo non crescano così tanto anche nel resto d’Italia. Le attuali misure di contenimento sono ora sacrosante e necessarie (l’ho già detto, ma è bene ribadirlo).
Ma il problema vero è che la Sanità non è in grado di gestire un’emergenza che, numeri alla mano, è sì seria, ma appunto è seria come lo è un’emergenza – non è un’ecatombe, non ci sono i morti riversi per le strade. Al 26 marzo il contagio riguarda ufficialmente lo 0.12% della popolazione (quasi certamente è una larga sottostima, si parla di un fattore 5-10 in più). Anche tenendo buono il dato ufficiale la grande maggioranza è asintomatica o soffre sintomi lievi; come detto, circa il 5% necessita di cure intensive, da cui risulta lo 0.004% della popolazione (le circa 3500 t.i. di questi giorni). Che il sistema sanitario di un Paese moderno e avanzato con 60 milioni di abitanti vada in crisi per 3500, o 5000, o anche 10mila t.i. (oppure per la carenza di medici, o per la carenza di letti) è un problema strutturale, non sanitario. E se questo porta al fatto che le persone, nelle zone più colpite dal virus, vengono lasciate a casa, senza tamponi o cure, è da ascriversi all’assenza di strutture adeguate. E che il contenimento dell’epidemia vada così a rilento si deve alla responsabilità di Confindustria che non ha voluto chiudere le fabbriche nel bresciano e nel bergamasco, alla assurda gestione degli ospedali all’inizio dell’emergenza, e a alcune circostanze sfortunatissime come tre partite di calcio a Bergamo e Brescia e alcune feste locali in cui decine di migliaia di persone si sono ritrovate accalcate alla fine di febbraio. Detto questo: evidentemente, il nostro sistema è stato progettato per funzionare bene a meno di emergenze; e non emergenze davvero straordinarie, semplicemente un’onda più alta del normale di pazienti bisognosi di cure intensive. Sia chiaro: senza un intervento per arginare la diffusione del virus, anche un sistema migliore entra in crisi prima o dopo; ma appunto, con meno affanno e con più tempo e modo per gestire la situazione (come in alcuni paesi Europei).

Infine, una considerazione a margine, ma non troppo: ci troviamo in questo casino per colpa di due cose precise, lo sfruttamento degli animali a scopo alimentare (tutte le recenti pandemie, compresa questa, derivano da zoonosi, cioè dal passaggio di agenti patogeni da animali allevati a scopo alimentare all’uomo) e il capitalismo/(neo)liberismo (in nome del quale negli ultimi anni si è smantellata buona parte del servizio sanitario nazionale, e non certo solo qui in Italia). Quando sarà passata, proviamo a ricordarcene.

In conclusione: stiamo a casa, ora è necessario farlo. E teniamo duro.

Calcolo della fatalità per fasce di età
I dati vengono dal censimento ISTAT 2011 e da ISS (già linkati sopra). Chiamo n il numero di decessi per una data fascia di età E, e N il totale dei decessi (i dati ISS sono ormai di qualche giorno fa, se ci saranno aggiornamenti li considererò). Chiamo f la frazione di maschi italiani di una data fascia di età rispetto al totale della popolazione maschile (uso i dati dei maschi perché covid uccide uomini per il 75% dei casi). Infine chiamo r la fatalità totale del virus.
Procedo poi così: il totale dei contagiati relativo a un certo numero di decessi è C=N/r; assumendo che il virus infetti in modo identico tutte le fasce di età, il totale dei contagiati in una data fascia di età è c(E)=f(E)*C; e la probabilità di morire per una persona infetta nella medesima fascia di età risulta quindi p(E)=n(E)/C(E)=r*n(E)/f(E)/N. Il totale della probabilità su tutte le fasce di età deve dare r, per costruzione, e infatti così è (controllate!).

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